D.L. Cura Italia: se la banca ti addebita la rata del mutuo per il quale avevi inviato richiesta di sospensione, puoi tutelarti. Qui puoi trovare il testo della pec da inoltrare all’istituto bancario che, nonostante la richiesta di sospensione, abbia addebitato la rata del mutuo.
In merito all’addebito della rata di _ del mutuo n._________ eseguita dal Vostro istituto il , il sottoscritto fa presente che in data ___ ha inoltrato formale richiesta di sospensione a norma del D.L. 17 marzo 2020 “Cura Italia”. Con la presente, pertanto, vi intima e diffida a riaccreditare la somma prelevata specificando che le vostre giustificazioni addotte, circa la richiesta di sospensione eseguita su modello (il vostro è stato pubblicato successivamente alla richiesta) non conforme, non legittimano il prelievo. Neanche in sede giudiziale, infatti, il difetto di forma dell’atto introduttivo inficia la sostanza della tutela richiesta. La Banca, semmai, avrebbe dovuto prendere in carico tale richiesta e sottoporre al sottoscritto la nuova modulistica, non abusare della posizione creditoria prelevando un altro rateo di mutuo in una emergenza pandemica che impone la chiusura delle attività e il depauperamento della liquidità disponibile. Fiducioso nell’adempimento, resto in attesa della vostra modulistica al fine di inoltrarvela senza ritardo.
Oggetto: Coronavirus, la sospensione del canone di locazione commerciale.
Il diffondersi del virus Covid-19 sull’intero territorio nazionale ha determinato, purtroppo, non solo una grave emergenza sanitaria, ma anche un negativo impatto sull’economia del paese.
Il lockdown crescente, imposto dalle autorità a tutela dei cittadini e per evitare il collasso del sistema sanitario nazionale, dal 4 marzo 2020 ha determinato, dapprima una chiusura di specifiche attività e poi, via via nel tempo, una chiusura generalizzata delle altre attività economiche, fatto salve quelle ritenute essenziali o di pubblica utilità, con un divieto sempre più stringente agli spostamenti delle persone. L’hashtag #ioRestoaCasa, che sintetizza tali normative, è chiaro: stop a scuole, università, manifestazioni, eventi compresi quelli sportivi, spettacoli e chiusura obbligatoria di molte attività quali negozi, bar, ristoranti ecc. L’emergenza sanitaria e i conseguenti provvedimenti emessi, in aggiunta alla severa limitazione negli spostamenti, hanno aggravato la condizione di migliaia di operatori economici che improvvisamente hanno dovuto chiudere o registrare una riduzione della relativa utenza. Tali misure hanno inevitabilmente influito e influiranno, in maniera sempre più sensibile, sull’economia e sul reddito disponibile delle famiglie, delle imprese e degli enti. L’Emergenza Coronavirus è, quindi, emergenza sanitaria, ma è anche per tutti emergenza finanziaria ed economica, poiché le spese legate alle attività continuano. È necessario, quindi, contenere, diluire e differire tali spese nel tentativo di salvaguardare la continuità dell’attività e di preservarla, in un tempo purtroppo indefinito, fino all’uscita dall’emergenza e alla ripresa, seppur lenta, del normale ciclo economico. Per quanto esposto, è possibile quindi per il conduttore invocare il combinato disposto delle norme del codice civile di cui agli artt. 1218 (non responsabilità nel ritardo della prestazione a causa dell’impossibilità non imputabile al debitore), 1256 (impossibilità sopravvenuta), 1258 e 1464 (riduzione della prestazione per prestazione parzialmente impossibile), al fine di richiedere la riduzione o la sospensione del canone di locazione per tutta la durata dell’emergenza sanitaria. Tale circostanza, però, non determina un diritto del conduttore in tal senso: i divieti disposti dai DPCM in ordine all’emergenza sanitaria, non riguardano la prestazione principale del locatore, ossia la messa a disposizione di locali idonei all’uso stabilito nel contratto di locazione. I decreti, infatti, non considerano l’immobile in cui si svolge l’attività, le sue caratteristiche o la sua idoneità all’uso pattuito. È innegabile, del resto, che l’immobile sia nella pacifica disponibilità del conduttore e in condizioni da poterlo utilizzare, ma, tuttavia, non è possibile goderne al fine di svolgere l’attività. È questa che viene invece preclusa o limitata. L’impossibilità di svolgere l’attività, non è certamente imputabile a nessuna delle parti, ma è dovuta ad una emergenza straordinaria di tutela della salute. Né il conduttore, né il locatore hanno dunque colpe, ma in astratto non è impossibile la prestazione che possa essere adempiuta con la normale diligenza, anche alla luce del recente intervento normativo del Governo che con decreto legge del 16 marzo 2020 ha previsto che “al fine di contenere gli effetti negativi derivanti dalle misure di prevenzione e contenimento connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19, ai soggetti esercenti attività d’impresa è riconosciuto un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1″. La richiesta di sospensione del canone di locazione deve quindi riferirsi a ragioni di sopravvenuta impossibilità ad adempiere agli obblighi contrattuali per causa di forza maggiore (motivi straordinari e imprevedibili). Sarà quindi opportuno che il conduttore richieda tempestivamente al locatore, con le relative motivazioni, la riduzione o sospensione del canone di locazione, dimostrando le ragioni della sopravvenuta impossibilità ad adempiere agli obblighi contrattuali per motivi straordinari e imprevedibili, al fine di giungere ad una soluzione concordata, fermo restando che sarà comunque rimessa alla discrezionalità del locatore l’accettazione o meno della proposta di riduzione o sospensione. Il mancato pagamento della locazione da parte del conduttore, anche nell’attuale emergenza e senza le richiamate cautele, potrebbe quindi legittimare il locatore ad agire per recuperare i canoni non riscossi e per promuovere un procedimento di sfratto per morosità.
Studio Commercialisti Associati Mazzaferro Sardo
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